Ha ragione Michele Serra, quando dice che la sfida che ci attende nei prossimi anni – che attende chiunque abbia a cuore le sorti di questa sgangherata, avvilita nazione – risieda non tanto nella capacità di far tornare sulla stessa tavola, la tavola degli italiani – di tutti, pure in misura diversa, ma tutti – il pane e le rose; quanto nell’avere il coraggio, la spregiudicatezza forse, e infine pure la giusta sensibilità di far nutrire nuovamente il bisogno, oltre che di quel pane, soprattutto di quelle rose. Perché non ci si rassegni, insomma, all’idea da paese in guerra che “intanto il pane, poi vediamo”. Col pane si arriverebbe al giorno dopo, certo, e poi a quello dopo, e a quello dopo ancora, e giorno dopo giorno così fino alla fine. Ma ci si arriverebbe, a quel momento, mescolando per troppo tempo bisogni e necessità, mettendo insieme ciò che serve e ciò che servirebbe (in questa drammatica sequenza), senza più riuscire a distinguere, perché a un certo punto non saremo più in grado di farlo, il bello dal turbe. La forma dalla sostanza. E sarebbe la fine. Molto prima della fine.
Il pane e le rose
