Storia di una creazione

Non ci fosse già un romanzo, a chiamarsi così, e non fosse poi quel romanzo uno dei più sconvolgenti che mi siano capitati tra le mani, di un autore, tra le altre cose, tra i migliori in circolazione – Dave Eggers, staremmo senza dubbio qui a parlare del film che racconta la storia di Benjamin Millepied alla guida dell’Opera de Paris come de “L’opera struggente di un formidabile genio”. E invece pare possa bastare “Storia di una creazione”, che poi è il titolo originale di questo docufilm che promette di scattare un’istantanea limpidissima su cosa devono essere stati, per Millepied, i quindici mesi al vertice di una delle più importanti imprese d’arte dell’epoca moderna, la culla della cultura parigina. In una parola, appunto: l’Opera. Ci sarebbe da aggiungere che per una strana coincidenza mi sia capitato di seguirli da vicino, quei mesi, e di sapere già, quindi, cosa sono stati: un inferno.

Apparecchiature obsolete, ore davanti alle scartoffie, conti che non tornano, porzioni di palco completamente marce o inutilizzabili. E per non farsi mancare proprio niente, la simpatica minaccia di uno sciopero a mettere tutto a repentaglio. Con questo clima, a Mllepied è stato chiesto di organizzare da zero una stagione, tirare su una squadra di almeno sedici professionisti, e mettere in scena un balletto. E farlo, in appena quaranta giorni. Con premesse del genere, la storia della creazione di cui parla il titolo diremmo sia quella dell’ulcera che Millepied sembra essersi allevato con grande caparbietà mettendosi alla testa del più prestigioso teatro di Parigi.

Ad ogni modo il film esce nelle sale questa settimana, e credo che andrò a vederlo almeno per un paio di ragioni. La prima: la storia di Benjamin Millepied è una di quelle storie che se per sbaglio senti raccontare al tipo seduto al tavolo dietro di te, al ristorante, niente, finisce che sei fregato: perché da quel momento in poi, di quello che succede al tuo, di tavolo, non te ne frega davvero più niente. La seconda: da quando ho cominciato a stargli un po’ addosso, ormai qualche annetto fa, ai tempi de Il cigno nero, a Millepied devo una certa fascinazione per tutto quello che ha a che fare con il ballo.

Una roba che provai a descrivere così, credendo persino di essere riuscito a farmi un’idea, al riguardo, ma che invece capii cosa sarebbe stata, davvero, per me, soltanto quando, in Un amore (altro libro da strapparsi il cuore con le mani), è stato Dino Buzzati a spiegarmelo. Così.

Il ballo era un meraviglioso simbolo dell’atto sessuale. La regola, la disciplina, la ferrea e spesso crudele imposizione, alle membra, di movimenti difficili e dolorosi, il costringere quei corpi verginali a far vedere le più riposte prospettive in posizioni estremamente tese e aperte, la liberazione delle gambe, del torso, delle braccia nelle loro massime disponibilità: tutto questo era per la soddisfazione del maschio. A cui le ballerine, con impeto, con patimento, con sudore, si abbandonavano. E la bellezza stava appunto in questo appassionato e spudorato abbandono. Senza che loro ne avessero il più lontano sospetto, era tutta un’ostentazione, un’offerta, un invito al congiungimento carnale. Quelle bocche socchiuse, quelle bianche e tenere ascelle spalancate, quelle gambe divaricate allo spasimo, quel protendere in avanti il petto in atto di olocausto, quasi gettandosi fra le braccia ardenti e insaziabili di un invisibile e insaziabile dio. Con geniale sapienza i grandi coreografi avevano stilizzato questo fenomeno sessuale in atteggiamenti apparentemente casti e accettati da tutti. Ma dentro permaneva la carica. Cosicchè, per uno che sapesse vedere, una sequenza di passi classici riusciva di gran lunga più forte che la lubrica danza del ventre di una spogliarellista da night. Erano cose che naturalmente nessuno osava confessare a voce o scrivere, per quella folle congiura di ipocrisia che nasconde il mondo dell’amore. La danza non era altro che uno sfogo lirico del sesso: per il resto non poteva non essere altro che decorazione o idiozia. Le rozze e lascive profferte carnali delle prostitute di postribolo risultavano una ridicola commedia al paragone degli allusivi e maliziosi adescamenti delle ballerine, che penetravano nel profondo. E quanto più una ballerina era brava, quanto più audaci, perfette, leggere, armoniose, acrobatiche le sue prestazioni, tanto più intensa, in chi la contemplava, la voglia di abbracciarla, di stringerla, di palparla, e accarezzarla specialmente sulle cosce, di possederla fino in fondo”.