E’ un sole onesto, familiare, quello che si adagia sul giardino di Ninfa in quella calda giornata di inizio giugno dell’anno 1997. Tra gli ospiti del parco, in quei giorni, c’è anche un anziano signore, lucido, eppure consumato da una malattia che non gli dà tregua. E’ durante una delle ultime visite che chiede di poter fare una sosta, per così dire, extra. All’altezza di quello che da queste parti tutti conoscono come il “ponte delle due luci”, per via dell’effetto “specchio” generato dal ruscello che da sempre gli scorre appena più sotto, domanda di fermare la piccola vettura elettrica che si sostituisce al passo e lo accompagna lungo gli otto ettari della residenza.
Scende. E chiede di essere lasciato solo.
“Quando sono tornato a prenderlo, mezz’ora più tardi, secondo gli accordi che ci eravamo dati, trovai Giorgio Bassani in lacrime. Ancora oggi ricordo molto intensamente la tenerezza di quel momento. Senza guardarmi, voltandosi anzi verso il corso d’acqua che scorreva proprio sotto i nostri piedi, con grande lentezza e la voce crepata dalla commozione, mi disse: Lauro non tornerò più a Ninfa. Ma adesso muoio felice”. Quasi due decenni più tardi, è ancora inalterata la commozione di quel ricordo nelle parole di Lauro Marchetti.
Da più di sessant’anni a Ninfa, prima come discendente acquisito della famiglia Caetani, e poi come segretario generale della fondazione che gestisce questo scrigno verde incastonato nella campagna viva del territorio di Cisterna di Latina, tra Roma e il capoluogo pontino, quest’uomo può vantarsi d’aver conosciuto, e da molto vicino, alcune tra le più illuminate menti del secolo scorso. Artisti. Letterati. Scrittori. Nobili. Di molti conserva tracce sporcate dall’infanzia, giacché accolto dai Caetani non appena compiuto il quinto anno d’età. Di altri, a questi ricordi di ragazzino ha invece aggiunto col tempo memorie più vive, più recenti. Con Giorgio Bassani, infine, ha potuto unire le une agli altri proprio in occasione di quell’ultima visita, compiuta dallo scrittore ferrarese al Giardino di Ninfa tre anni prima di morire.
“Ricordo molto bene quei giorni e il rapporto che ha sempre legato Giorgio Bassani al Giardino – racconta Marchetti – Un rapporto d’amore devoto per un posto che lui stesso considerava una inesauribile fonte d’ispirazione”.
Fu proprio il maestro, come lo ricorda Marchetti, durante quel soggiorno del ’97 a Ninfa in compagnia, fra gli altri, dell’americana Portia Prebis, a confidare ai suoi commensali cosa volesse dire, per sé e la sua carriera, il giardino di Ninfa. “Eravamo a tavola, durante una colazione, fu dopo l’episodio del ponte delle due luci. Sebbene si esprimesse già con grande fatica, Bassani si lasciò andare a un lungo racconto della sua esperienza. In quello che tutti considerammo come un testamento, il suo personalissimo, sul giardino di Ninfa. Disse: è in questo giardino che mi ha raggiunto per la prima volta l’ispirazione, è qui che si è formata dentro di me l’idea del romanzo che mi ha reso celebre”.
Disse: in questo giardino ho scritto non soltanto
le prime bozze del Il Giardino dei Finzi-Contini,
ma anche tutte le parti del romanzo che reputo
le migliori, le più piacevoli, quelle che mi sono costate meno fatica, meno dubbi. E anche meno correzioni.
Sebbene quello dei Finzi-Contini sia sempre stato, per ammissione dello stesso Bassani, una specie di giardino dell’anima, uno dei non-luoghi per eccellenza della letteratura italiana del ‘900, tutti, a quei tempi, specie tra i letterati della cerchia del Botteghe Oscure che avevano il privilegio di soggiornare nel borgo medievale, ospiti di Marguerite Caetani Chapin, sapevano che quell’angolo di verdura in cui evolvono le tormentate vicende di Giorgio (la cui identità resterà sempre ignota) e Micòl Finzi-Contini, fosse in realtà proprio il giardino di Ninfa. “Durante quel pasto, che si svolse in compagnia degli ospiti americani della famiglia Caetani, ricordo che il maestro, i cui trascorsi al giardino di Ninfa venivano comunque spesso piacevolmente evocati, fece a tutti una confidenza inedita, che mi emozionò particolarmente – confessa Marchetti – Disse: In questo giardino ho scritto non solo le prime bozze del Il Giardino dei Finzi-Contini, ma anche tutte le parti del romanzo che reputo le migliori, le più piacevoli, quelle che mi sono costate meno fatica, meno dubbi. E anche meno correzioni”.
Aveva un angolo, inoltre, Bassani, nel giardino di Ninfa, che considerava come una specie di appendice del suo studio. Una fonte di grande intimità. Molti dei passaggi iniziali del romanzo, quelli letti ai tanti amici della redazione romana della Feltrinelli di via Arenula, a Roma, qualche anno prima dell’uscita nelle librerie, con tutta probabilità, deve averli scritti lì.
C’è un posto preciso, nel giardino di Ninfa, che è il luogo di Giorgio Bassani. Quello che lui chiamava il suo “punto elettivo” … Era la vecchia dogana del ‘300.
Un angolo molto evocativo del giardino, che al maestro piaceva in maniera particolare per via di un riverbero.
“Non c’è dubbio che Bassani abbia scritto il Giardino dei Finzi-Contini ovunque riuscisse ad avvertire una grande ispirazione, come del resto ci disse sempre, così come è vero però che il giardino di Ninfa sia stato, se non il più importante, uno dei posti nel quale scrisse di più. In particolare – aggiunge ancora il segretario generale della Fondazione -, c’è un posto preciso, nel giardino di Ninfa, che è il luogo di Giorgio Bassani. Quello che lui chiamava il suo “punto elettivo”, come del resto nel giardino ne avevano tutti gli artisti ospiti della famiglia Caetani, di Marguerite, del marito il duca Roffredo e della figlia e ultima discendente Caetani, Lelia. Lo stesso Bassani raccontò che tra loro c’era chi scriveva seduto sulla biforcazione di un ramo, in bilico su un albero, chi addirittura per mezzo busto immerso nell’acqua. Ecco, il suo punto elettivo era la “vecchia dogana” del ‘300. Un punto molto evocativo del giardino di Ninfa, che al maestro piaceva in maniera particolare per via di un riverbero. Essendo esposto ad est, Bassani raccontava infatti di prediligere quell’angolo soprattutto alle prime ore del mattino, quando il sole, sorgendo, rifletteva grazie al lago sul soffitto di questa vecchia dogana in pietra la luce e il tepore dei primissimi raggi di sole”.
Immagini, quelle evocate dai ricordi di Lauro Marchetti, di una tale intensità emotiva il cui bagliore è ancora lì, tangibile, nelle tracce lasciate tra le righe de Il Giardino dei Finzi-Contini: opera simbolo della letteratura novecentesca italiana che oggi, a cento anni dalla nascita di Giorgio Bassani e a una manciata di giorni dal ritrovamento del manoscritto originale, utile per un suggestivo percorso a ritroso fino alle origini del processo creativo dell’autore, ci è dato conoscere persino un poco di più.
Sapendo ad esempio cosa vedeva, di preciso, lo scrittore, quando immaginava l’amore impossibile tra Giorgio e Micòl. Luce.