L’ultimo spot Dior (quello con Johnny Depp, che trovate poco più in basso) è la sintesi perfetta del momento infelice che vive da tempo la moda. O forse dovremmo dire la pubblicità nella moda. Che poi è il suo ventricolo sinistro, se capite cosa voglio dire. Insomma, per farvela breve e per chi non l’avesse ancora visto, stiamo parlando di un clip di un minuto e venti utile a dirci, in pratica, che dalla maison francese hanno appena pensato un profumo per noi maschietti. Ah sì? Sì, pensa.
Che poi, “per noi”, diciamo per quelli di noi senza un lavoro fisso che la mattina, dopo aver tirato un paio di strimpellate alla rinfusa sulla chitarra elettrica, prendono la loro berlina fighetta e se ne vanno a vagheggiare in Colorado, dove, tra le altre cose, gli può capitare di incrociare bisonti selvaggi – ma capaci di tenere la destra-, di scavare fosse nella sabbia e sotterrare collane e anelli, e di chiudere la giornata giustamente – e meritatamente – stremati. Si chiama “modello ascenzionale” questo usato dalla pubblicità per farci sentire meglio di come in realtà non siamo. “Sauvage”, invece, è il nome del profumo. E ci sta.
Quello che non ci sta, però, è che l’immagine stantia di questo spot (costato milioni!) copre di gran lunga il piacere che pure le belle inquadrature – e dove non arrivano loro, Johnny Depp – donano all’insieme. Sì perché il punto di tutta questa faccenda è che la moda – d’accordo, la pubblicità nella moda – non sa più dirci di cosa abbiamo bisogno. Né come dircelo, santiddìo. Voglio dire che non sa più suggerirci l’impossibile, quel qualcosa di cui abbiamo maledettamente bisogno, e che non abbiamo già. Cioè quello che ha sempre fatto, fino a qualche tempo fa. Oggi invece non sa più suggerirci bisogni ai quali qualcuno non abbia già provveduto. E in larga misura. Insomma, sono cresciuto nella certezza che le grandi rivoluzioni, per essere considerate tali, devono aver lasciato, passando, una eredità più o meno tangibile ma comunque capace di segnare per sempre un “prima” e un “dopo”.
E nell’estetica questo principio non ha mai fatto eccezione. Poteva essere un accessorio, uno stile, o – se eravamo fortunati – un atteggiamento da portarsi dietro negli anni. Da tempo, però, nella moda non si intravede neanche l’ombra di una roba del genere. E’ un male? Non lo so. So però che è il mercato. E il mercato non sempre si preoccupa del nostro bene.
Perché quando la pubblicità non sa più raccontare un certo tipo di estetica, comincia a raccontarsi da sola.
E quello non lo so se è proprio un bene per l’idea di estetica che abbiamo edificato con cura, in tutti questi anni. Un esempio su tutti? Kanye West. L’uomo più influente del mondo, secondo Time. Eppure dicono non sappia disegnare, non sappia cantare, non sappia ridere. Ma è forte. Maledettamente forte. Il migliore. Perché? Perché sa raccontarsi bene. Perché sa vendersi. Meglio di chiunque altro. Meglio di come lo racconterebbe la pubblicità. Questa pubblicità.