E’ il 4 novembre 2008, nei negozi viene lanciato l’iPhone 3, Benedetto XVI è ancora lontano dal diventare il papa del gran rifiuto dell’era moderna e l’Europa, dall’altra parte dell’oceano, cominciava una guerra ideologica di cui ancora non ha visto la fine. Intanto, in America, un tipo di colore veniva incoronato per la prima volta presidente. Comincia così, col contagio di una certa idea di speranza diffuso un po’ dappertutto nel mondo, il primo mandato di Barack Obama alla guida degli Stati Uniti. Con lui, alla Casa Bianca, entra però anche un tale, tra gli altri. Si chiama Pete Souza. Di professione fotografo.
Ma fotografo, stavolta, non è la parola giusta. Perché Pete Souza è l’uomo che in questi anni ha raccontato Barack Obama al mondo. E se fai quel mestiere là, il mestiere cioè di uno che racconta al mondo il presidente degli Stati Uniti, non puoi essere soltanto un fotografo. Sei, anzitutto, uno che sa vedere le cose. Meglio e – soprattutto – prima di tutti gli altri. Poi, ma solo poi, sei uno che le sa pure raccontare.
Perché se quel che Obama ha fatto (ma soprattutto quel che non ha fatto alla guida della Casa Bianca) non ha corrotto la percezione della sua immagine così potentemente positiva, se in otto anni di presidenza il presidente ha disatteso la stragrande maggioranza delle speranze dell’America e del mondo, ha mantenuto poche promesse, ha deluso tanti sostenitori, eppure la sua coolness è rimasta inalterata, anzi, si è colorata d’argento come i suoi capelli, e si è arricchita di una quantità impressionante di immagini, video, ospitate, selfie, tweet, aneddoti, playlist, battute, leggende che che fanno pensare che non ci sarà mai più un presidente come lui, tutto questo lo si deve, soprattutto, a Pete Souza.
Lo scarto tra il presidente che tutti si aspettavano e quello che poi in realtà è stato, se solo ci guardassimo un attimo alle spalle, appare, giustamente, abissale. Inutile negare che il peso dell’America, nel Mondo, negli anni di Obama, è fortemente diminuito. Eppure lui ne esce bene. Il saldo, dal suo punto di vista, sarà sempre positivo.
Dallo studio ovale a Michelle nell’orto della Casa Bianca, dalle cene in famiglia alla stanza-video del raid contro Bin Laden, al ballo di fine anno, alla corsa col cane in corridoio. Anche dove non sembra Obama, è lui: Obama. O almeno quello che ci ha voluto raccontare Pete Souza. Lasciando che in questi anni ci contagiassimo poco a poco con una nuova idea di speranza. E che lo facessimo, in un certo senso, quasi da soli. Proprio come quella notte di quasi otto anni fa.